La realtà è liquida.

Non è data, non è unica: è un caos.

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i due princìpi

 

Non è possibile imbrigliare la realtà, non è unica ed è in continuo mutamento. Può cambiare in maniera sostanziale da un giorno con l’altro, è un caos liquido e l’abbiamo sperimentato con l’arrivo del COVID-19.
Questa sua volubilità ci ha da sempre spaventati.
Nel momento in cui non non controlliamo direttamente una situazione e non sappiamo come potrà evolversi, spesso proviamo uno stato d’ansia derivato proprio dall’imprevedibilità degli eventi che ci attendono. Per combattere la pietrificante sensazione dell’indefinito e dell’inaspettato, abbiamo cominciato a categorizzare e classificare ogni cosa si trovasse  all’interno della realtà che abitiamo. In questa maniera ci siamo creati un mondo che riusciamo (parzialmente) a gestire e questo ci conforta incredibilmente, alleviando il senso di angoscia. 

Come ci siamo riusciti?

Abbiamo sviluppato, nel corso dei millenni, uno strumento molto potente, la ragione. Grazie alla razionalità che distingue l’uomo dagli altri animali abbiamo avviato un processo di interminabile classificazione del reale.
Questa titanica operazione si è basata su due principi:

1.Principio di non contraddizione

 

Ciò che ci permette di dire che, ad esempio, una tazzina sia solo una tazzina e non altro. In questo modo possiamo assicurarci di riempirla con del caffè e non cercare di mangiarla, sapendo che non è altro.

 

2.Principio di causalità

 

Tutte quelle leggi che abbiamo costruito nel corso del tempo osservando il mondo attorno a noi, attraverso la deduzione. Ad esempio sappiamo che se tocchiamo una fiamma, ci scottiamo.

 

Così, seguendo questi due principi, l’umanità si è messa all’opera per definire tutto lo scibile, dando la sua versione della realtà. Con il tempo si è stabilità una legge invisibile per cui tutto ciò che non è inscritto nei confini della realtà definita, semplicemente non esiste, è follia. Da qui abbiamo deciso di guardare il mondo attraverso una lente specifica, quella della Tecnica. Ossia quella che incarnava al massimo i valori del mondo che siamo andati costruendo, un mondo governato dalla ragione operata al massimo del suo rigore in modo da poter dare a ogni entità la sua classificazione.

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cos’è la tecnica?

È la forma più alta di razionalità raggiungibile dall’uomo. 

È lo strumento che l’uomo ha sviluppato per la sua stessa sopravvivenza, non possedendo attributi naturali per stare al mondo, ha adattato il mondo a se stesso.
Un esempio molto chiaro, lo troviamo nel caso in cui volessimo prendere due cuccioli, uno umano e uno di un cervo. Se li lasciassimo nel bosco, senza alcun aiuto, il piccolo cervo sopravviverebbe, il bambino no. 

 

Di conseguenza, nella realtà che ci siamo dipinti, la natura dell’uomo, che si presenta fallace, lenta ed emotiva, è vista come un problema da risolvere. In un mondo che ragiona esclusivamente per raggiungere i massimi livelli di produzione e consumo non c’è spazio per la debolezza e la fragilità. 

Quindi si è sentito il bisogno di superare la dimensione umana, che ad oggi poco si adatta ai nuovi ideali che ci siamo posti.
E proprio la Tecnica incarna perfettamente questa mentalità, permettendo all’uomo di agire direttamente sul suo genoma, bio-ingegnerizzando la vita e ponendosi come forza risolutiva a tutti questi problemi. Bingo.

Così, adottando la Tecnica a principio regolatore di tutto, Esistenza ed Essenza sono sostituiti da Velocità ed Efficienza. I valori che contano di più finiscono per essere quelli prestazionali. “Denken als rechnen” (M. Heidegger) Il pensiero ridotto a calcolo: così noi valutiamo la realtà. I rapporti li manteniamo solo se utili, le decisioni le prendiamo in base al guadagno che ne potremo trarre e le azioni è meglio che siano compiute nel minor tempo possibile e con il minor sforzo possibile: giudichiamo solo dal punto di vista del rendimento. Assumiamo dunque un criterio di razionalità massima a forma di convivenza umana. Ma l’uomo non può essere ridotto a forma razionale, è molto altro.

Abbiamo permesso che, un sistema sempre più governato dalla Tecnica, volta solo al suo mero auto-potenziamento, plasmasse le nostre menti in nome della continua Crescita, della modernizzazione e del Progresso. Così la presunta neutralità della tecnica (Gilbert Simondon, Sulla tecnica, Gil ), ha celato per anni ai nostri occhi la farsa del capitalismo, asservendoci, in questo modo, alla spirale consumistica.

Avere ha superato Essere

Così consumiamo la realtà stessa

 

Da tempo ormai, abbiamo sostituito l’essere con l’avere. Spesso siamo portati inconsciamente a concentrarci sull’avere le foto di una determinata esperienza che viviamo, piuttosto che viverla intensamente nel momento in cui è in atto. 

In der welt sein è diventato In der welt haben (Essere e tempo, M. Heidegger). 

L’atto del consumare, dell’avere il mondo anzi che essere al mondo, del fagocitare la realtà è una pratica ormai universale. Consumare significa portare tutte le cose nel minor tempo possibile al nulla.
Ma il nulla non è un obiettivo interessante, come ci racconta U. Galimberti. Stiamo portando al nulla anche noi stessi, presi dall’isteria consumistica: “L’umanità che tratta il mondo come un 'mondo da buttar via', tratta anche se stessa come 'un’umanità da buttar via” G. Anders.

L’uomo stesso rischia di essere la causa della propria uscita dalla storia.

L'ultima rivoluzione rimasta in sospeso è quella dell'immaginario: dobbiamo essere capaci di immaginare in quale mondo e società vogliamo vivere, e se vogliamo essere cittadini o consumatori

— Luis Sepulveda

Sepúlveda si riferiva probabilmente al genere di consumo descritto, al quale nella sua frase contrappone rivoluzione ed immaginario. Due forze che se operate nel massimo del loro significato sono in grado di sconvolgere il mondo in maniera indelebile, cambiandone le logiche e ribaltandone la realtà. Ed è proprio questo il terreno sul quale, secondo il poeta, andrà giocata la partita.

La sfida consiste nel abbandonare l’atteggiamento del consumo e diventare dei cittadini, ossia contribuire armonicamente alla solidità della rete sociale, facendo la propria parte in maniera responsabile, collaborativa e solidale all’interno della società.

Occorre quindi non isolarsi, non rinnegare comunità e conquiste raggiunte fino ad oggi ma “mit Sein”, essere con gli altri

Usare i mezzi derivati dal progresso, senza lasciarsi dominare, dando vita ad una rete sociale che generi benessere per l’umanità e le altre specie, in armonia con il mondo che abita. Per questo motivo è necessario che, in primo luogo, si impari ad essere stabili come entità singole. È fondamentale acquisire una solida conoscenza di sé stessi che si raggiunge esclusivamente con il tempo, attraverso un processo che inevitabilmente implica fallimenti, tentativi, vittorie e sconfitte. Proprio il tempo che sembriamo consumare tanto avidamente e di cui non sembriamo mai averne abbastanza.

Come tornare a Essere? 
La felicità nella rete

Proprio riferendoci alla citazione di Fromm vista nell’OGGI, ci rendiamo conto di come esistano due forze opposte, anche dentro di noi. Quella di guadagnare tempo per noi stessi e al contempo quella che ci porta a sperperarlo, lasciando che sia cannibalizzato da miliardi di distrazioni di cui ci circondiamo.


Questa dinamica porta spesso a non sfruttare quel preziosissimo tempo che dovremmo dedicare a noi stessi. Non in maniera egotistica, ma proprio per coltivare la nostra persona per permetterle quella stabilità che ci fa prendere la giuste direzioni e che ci avvicina ad Essere chi siamo. 

È necessario conoscersi, capire i propri limiti, abbracciare la propria natura, prendersi cura del proprio io, innaffiare e potare quando necessario. Per fare questo appunto, inevitabilmente è richiesto tempo, la nostra risorsa più importante. L’unica realmente non rinnovabile. Allora questa partita va giocata ogni giorno, perché attraverso la realizzazione del proprio δαίμων, ossia lo spirito che risiede in noi, la nostra indole, la nostra predisposizione naturale. Allora possiamo accedere alla serenità e orientare le nostre correnti interne, imparando anche a saper cogliere veri momenti di felicità. La felicità non è uno stato stabile da raggiungere, quanto più un momento che è possibile arrivare ad identificare e a goderne, nel caso si sia in grado di farlo. Un solido stato di felicità non deriva mai dall’Avere, quanto più dall’Essere in una determinata situazione.


Si capisce come tutto questo sia ben lontano dalla “felicità” propinata dalla realtà consumistica che ci siamo costruiti che offre solo l’immediata estinzione di piaceri (o capricci) effimeri.

Seguendo solo la mera soddisfazione dei piaceri, finiamo per non conoscerci, a non sapere cosa ci rende realmente felici. E allora ritorna quella famosa sensazione di spaesamento in cui non comprendiamo più cosa ci circonda e chi siamo, dove attiviamo i principi logici. Diventiamo stranieri nel nostro stesso mondo e nel nostro corpo.
Ma come detto, non siamo capaci di essere stranieri, di non riuscire a prevedere. È uno stato dell’essere che provoca in noi profondo sgomento. Così si delinea in un solo momento sia una crisi personale che sociale.

Allora occorre abbandonare velocemente questo schema. Sicuramente però l’uomo non è veloce a processare la realtà, ma bisogna, da subito, costruire un ponte verso un nuovo mondo, lasciando che questo si spenga, celebrandone la fine.

Occorre pensarci come rovine, lasciare un racconto a chi verrà poi, un’impronta che possano individuare. Non tossica come il cambiamento climatico, ma utile e positiva, cogliendo quella che, Federico Campagna definisce la dimensione profetica per un nuovo inizio.